mercoledì 17 aprile 2024

"Che scoperta!" Nel 1973 gli Humble Pie suonarono in un grande magazzino alla moda di Londra: quel filmato è ora online


Girato per lo show televisivo statunitense “The Midnight Special”, gli Humble Pie stupiscono con una versione live del loro classico “I Don't Need No Doctor”, con i Black Berries

Nel 1973, il programma musicale statunitense The Midnight Special aveva abbastanza influenza da trasferirsi brevemente dalla sua sede abituale agli NBC Studios di Burbank, in California, a Londra, dove un episodio fu girato nei grandi Magazzini Biba nell'altrettanto alla moda quartiere di Kensington.

Biba iniziò la sua vita come boutique di moda per corrispondenza nei primi anni '60 e aprì un negozio fisico dopo che un vestito venduto fu pubblicato sul Daily Mirror. La sua somiglianza con un indumento indossato dall'attrice francese Bridgot Bardot richiese 4000 ordini immediati e Biba li soddisfò. Nel 1973 Biba si trasferì in locali più grandi, dove guidò la rivolta del glam rock contro l'hippy con sette piani di prodotti desiderabili e attirò un milione di clienti a settimana. E attirò anche gli Humble Pie.   

Insieme a Steve Marriott e soci e ai coristi Black Berries (Oma Drake, Jesse Smith e Clydie King) nello show c'erano i Procol Harum, Alvin Lee e Mylon LeFevre, insieme ai folk Steeleye Span. E mentre l'intero spettacolo è stato caricato sul sempre glorioso canale YouTube di The Midnight Special a febbraio, è la cover degli Humble Pie di “I Don't Need No Doctor” di Ray Charles – originariamente pubblicata dalla band due anni prima sull'album “Performance Rockin' the Fillmore” – che è diventata il momento clou, perché presenta gli Humble Pie nella migliore forma possibile.

"Wow!" esclama un commentatore. "È il 9 aprile 2024 e sto ascoltando questa straordinaria esibizione e la voce di Steve Marriott mi ha fatto alzare ogni pelo sulle braccia e salutare uno dei più grandi cantanti di tutti i tempi! WOW!"

"Questo è il miglior filmato che ho visto della band", aggiunge un altro. "Stellare."

"Cosa?! Da dove viene?", si chiede un follower "Ho guardato tutti gli speciali di mezzanotte e non l'ho mai visto prima! Ho visto i loro “In Concert” e le apparizioni di Don Kirshner, ma questo è il miglior filmato dal vivo di Pie! E non l'ho mai visto in 20 anni nemmeno su Youtube! Che scoperta!"

Biba ha chiuso i battenti appena due anni dopo!





martedì 16 aprile 2024

L'evoluzione della Fender Stratocaster dal 1954 al 1965


ARTICOLO ESTRAPOLATO E TRADOTTO DAL PORTALE DI GUITAR CENTER


La Fender Stratocaster non è stata pensata per essere un monumento immodificabile e inalterabile.

Nelle cronache del tempo (1954), la neonata Stratocaster era davvero uno strumento definitivo e rivoluzionario, ma non era ancora la meraviglia che conosciamo, e ci è voluto quasi un decennio prima che diventasse popolare.

Leo Fender era un genio, ma era anche un riparatore, un ingegnere sempre teso al miglioramento continuo.

Quando progettò la Stratocaster immaginandola come strumento "modulare", non stava scherzando perchè dopo 70 anni di modifiche e sperimentazioni, continua ad evolversi.

Ma torniamo al calderone della creatività che ha definito la Fender dal 1954 al 1965. Per la Stratocaster, questa era un'epoca in cui ogni perfezionamento era forgiato dall'inventore stesso, insieme al suo team.

È stato anche un momento in cui importanti chitarristi degli anni '50 e consulenti fidati hanno offerto input in tempo reale su come continuare a migliorare le prime Stratocaster. Inoltre, Leo e il suo team hanno potuto assorbire le esperienze del mercato, quando i musicisti, i negozi di musica e altre aziende di strumenti musicali stavano sperimentando per la prima volta questa nuova chitarra dell'era spaziale.


Qual era la ricetta originale della Stratocaster nel 1954?

Lo sviluppo della Strato ha richiesto un pool di ingegneri, venditori e musicisti motivati e appassionati. Il parto è stato a volte disordinato, e la storia è occasionalmente offuscata dai ricordi dei partecipanti che rivendicavano il loro ruolo nel suggerire o migliorare alcuni elementi del progetto finale.

Ma sappiamo che il modello di produzione Fender Stratocaster è stato presentato "ufficialmente" nell'ottobre 1954. Eppure, anche quella data porta con sé un po' di confusione, poiché ci sono rapporti secondo cui le prime 200 Stratocaster lasciarono effettivamente la fabbrica nella primavera del 1954. Tuttavia, Forrest White, all'epoca direttore della fabbrica Fender, affermò che tutte le Stratocaster del 1954 prodotte prima del 13 ottobre 1954 erano probabilmente modelli di pre-produzione o d'artista venduti direttamente ai musicisti della fabbrica.


In ogni caso, la Fender Stratocaster del 1954 arrivò sul mercato al costo di $ 249,50 con tremolo ($ 229,50 senza). Ora, $ 249 nel 1954 sono circa $ 2.839 oggi, quindi la Stratocaster era un po' un oggetto di lusso nell'era Eisenhower. (il direttore delle vendite della Fender, Don Randall, aveva più volte chiesto a Leo una chitarra più raffinata che potesse competere con la Les Paul di Gibson). I chitarristi nel 1954 potevano scegliere di acquistare sei nuove Stratocaster o optare per l'auto più popolare dell'anno, una berlina a quattro porte Chevy Bel Air quotata a 1.685 dollari.

Quando un musicista apriva la custodia per ammirare la futuristica chitarra Fender del 1954 che era caduta nella sua orbita, la nuovissima Stratocaster presentava una finitura sunburst bicolore su un corpo in frassino, manico in acero arrotondato a forma di D, tastiera in acero, lunghezza della scala di 25,5", raggio di 7,25", 21 tasti piccoli (.078" di larghezza), tre pickup single-coil in Alnico III e la scelta di un ponte fisso o di un tremolo sincronizzato Fender. 

Come si può intuire a questo punto, ci volle un po' di tempo prima che la Stratocaster si assestasse sulle sue specifiche di debutto, che non rimasero ferme, mentre gli anni '50 e '60 andavano avanti.


Cronologia dei perfezionamenti della Stratocaster

Sono stati scritti volumi sullo sviluppo della Stratocaster, compresi i libri del team originale Fender, e gli esperti di vintage sono noti per far piovere fuoco infernale su chiunque storpi anche un fatto infinitesimale.

Tuttavia, come accennato in precedenza, anche le persone che erano lì tendevano ad elaborare resoconti leggermente diversi su alcuni aspetti della produzione della Stratocaster, il che è comprensibile, dato che la fabbrica Fender era in procinto di ottimizzare il suo flusso di lavoro, l'approvvigionamento di parti, bilanciare caratteristiche e redditività e mantenere l'impegno di portare qualcosa di straordinariamente innovativo sul mercato.

C'era un sacco di attività in corso nel think tank Fender e nella sala di produzione durante il viaggio della Stratocaster verso la versione che i musicisti potevano acquistare nel loro negozio di musica preferito, ma proviamo a rendere questa linea temporale abbastanza "direzionale", tanto da dare un'idea di base dei fatti e dei collocamenti temporali.

Cerchiamo anche di concentrarci sulle caratteristiche che possono avere una significativa rilevanza tonale, estetica ed ergonomica per i musicisti, piuttosto che catalogare ogni singolo aggiornamento ingegneristico, come i "percorsi a vite senza fine" nella cavità del pickup e il numero di filettature delle viti. Ci siamo...


Marzo 1954

• Il sunburst della Stratocaster inizia come un "one-burst". Fender ha semplicemente dipinto il marrone scuro intorno al frassino naturale del corpo.

• Corpo super sagomato.

• I primi prototipi di tremolo avevano tre molle invece di cinque.

• I potenziometri di volume e tono sono 100k con un albero in ottone massiccio.


Maggio/Giugno 1954

• Una vera e propria raggiera a due colori rende la scena: dal giallo canarino al marrone ambrato.

• I potenziometri del volume e del tono sono ora 250k, anche se ancora in ottone massiccio. (L'idea potrebbe essere stata che i potenziometri da 100k suonassero troppo scuri.)

• Il manico in acero in un unico pezzo ottiene una striscia di noce dove è stato inserito il truss rod.

• La forma del collo è una D tozza e arrotondata.

- Attacco del collo a quattro bulloni.

• Il battipenna è un singolo strato di plastica ABS spessa .060" con otto viti di fissaggio.

• I coperchi dei pickup e le manopole di controllo sono in bachelite bianca (polistirene termoplastico).

• La barra del tremolo ha curve esagerate.


Ottobre 1954

• Inizia il capitolo del modello di produzione. Le Stratocaster sono ora perlopiù costruite in una catena di montaggio.

• I potenziometri Volume e Tone passano all'albero diviso, a causa del fatto che le manopole della Stratocaster sono a pressione, al contrario delle manopole Telecaster dell'epoca che richiedevano un albero solido per ospitare una vite di fermo.

1955

• I bordi della paletta diventano più affilati e meno arrotondati.

• Le curve della barra del tremolo non sono così severe.



1956

• L'ontano sostituisce il frassino come legno per il corpo, ad eccezione dei modelli biondi. Il sito web di Fender spiega il cambiamento come "probabilmente per nessun'altra ragione se non per il fatto che c'era, prontamente disponibile e più conveniente della cenere". Sul fronte dei toni, tuttavia, l'ontano mostra una maggiore enfasi sulla gamma medio-alta rispetto alla presenza luminosa e al calore equilibrato della cenere.

• La forma del collo è ora una morbida V.

• Le curve della barra tremolo diventano ancora meno pronunciate.

 

1957

• La plastica ABS sostituisce la bachelite per le manopole e i coperchi dei pickup.

• La forma del manico è cambiata in una forte V. (Nota: la famosa Stratocaster "Blackie" di Eric Clapton aveva un manico del 1957.)

1958

• Sunburst è ora di tre colori: dal giallo al rosso al marrone scuro.

• Il collo assume una forma a D più sottile.



1959

• Tastiere in acero sostituite con palissandro in lastra. La costruzione del manico è ora in due pezzi, anziché in un unico pezzo. (Nota: la modifica potrebbe essere stata apportata per dare alla Strat un aspetto più elegante. Da un punto di vista tonale, l'acero è generalmente caratterizzato da un timbro incisivo e articolato, mentre il palissandro può suonare scuro e caldo.)

• Battipenna cambiato in celluloide a tre strati (bianco/nero/bianco) con 11 viti di fissaggio. Il colore è verde menta.

• Il collo inizia ad assottigliarsi e si assottiglia con il passare dei mesi.


1960

• Nessun cambiamento degno di nota.


1961

• Per ridurre al minimo lo sbiadimento, alla finitura sunburst viene aggiunto un rosso molto robusto.

• La componente marrone ambrata del sunburst viene cambiata in nera.


1962

• Intorno all'agosto del 1962, la tastiera in palissandro viene sostituita con una sottile impiallacciatura in palissandro laminato rotondo. (Nota: le ipotesi sull'impatto tonale del cambiamento sono impegnative, poiché Fender stava anche giocando con le forme del manico e i pickup hanno iniziato ad avere più avvolgimenti sulla bobina, quindi un suono più grasso.)


1963

• I contorni del corpo diventano leggermente meno drammatici.


1964

• Il raggio di sole a tre colori assomiglia più a un "bersaglio" con una minore fusione tra i colori.

• Il battipenna è ora bianco, in plastica a tre strati, che sostituisce il verde menta.

• Il rimodellamento del corpo diminuisce ulteriormente, soprattutto a livello dell'avambraccio destro.


1965

• La paletta viene ingrandita a dicembre per consentire una decalcomania Fender più grande.

• Tastiere in acero offerte come opzione.

Ma qual è l'anno migliore di sempre per la Stratocaster?

Molti storici, collezionisti e addetti ai lavori considerano il 1962 come l'anno migliore per la Stratocaster. Il corpo in ontano e il manico in acero con una sottile tastiera impiallacciata in palissandro, offrono il punto forte sonoro per gli appassionati di Strat.

Inoltre, possiamo supporre che la formula di base della Stratocaster si fosse stabilizzata nel 1962, rendendo più facile per gli operai della catena di montaggio produrre chitarre più coerenti e una migliore qualità complessiva.

Ma mettiamo i bastoni tra le ruote.

Quali date di produzione nel 1962 – e quali strumenti nel 1962 – sono esempi straordinari della maestosità vintage della Stratocaster? E com'è possibile che due Stratocaster del 1962 apparentemente identiche possano presentarsi, con una che suona in modo assolutamente glorioso, e l'altra che esibisce toni e suonabilità "appena medi"?

Sì. Le cose possono diventare un po' confuse. Ecco perché...



• La produzione da parte dell'uomo può essere irregolare. Gli esseri umani non sono macchine CNC (Computer Numerical Control). Mentre nel 1949 è stato utilizzato un sistema CNC per modellare le pale degli elicotteri, l'uso di questo costoso macchinario non è stato certamente diffuso fino a molto tempo dopo, soprattutto per la produzione di chitarre. Quindi, un dipendente che carica i pickup con i postumi di una sbornia, o che non vede l'ora che arrivi il fine settimana di venerdì, o che ha un problema tecnico al cervello mentre modella un raggio di 7,25" su un manico (e lo trasforma in un raggio di 6,75" o 7,75") può "modificare" in modo significativo la sensazione di una Stratocaster del 1962. Oggi ci aspettiamo tolleranze di produzione costanti. Nel 1962…

•Parti. A Forrest White viene attribuito il merito di aver trasformato la prima fabbrica Fender in un impianto veramente professionale e operativo. Ma White aveva ancora le sue sfide con gli inventari, gli utensili meno sofisticati e la modifica delle parti per adattarsi ai perfezionamenti del design a metà degli anni '50 e all'inizio degli anni '60. Il risultato è che tutte le Stratocaster del 1962 potrebbero non avere esattamente le stesse parti da cima a fondo. Questo non vuol dire che la qualità variasse molto da Strat a Stratocaster, ma spiega perché alcune del '62 sono filet mignon e altre sono T-bone.

• Miglioramenti immediati. Avere a che fare con una mente ingegneristica sempre alla ricerca come quella di Leo Fender, con le sue costanti idee di miglioramenti e perfezionamenti, può mettere a dura prova un team ufficiale. È probabile che le parti e i processi si siano evoluti in concomitanza con l'individuazione da parte della fabbrica per quanto riguarda l'efficienza e altri elementi essenziali del flusso di lavoro. Ancora una volta, tenere il passo con i cambiamenti di progettazione in fabbrica non significava che il controllo qualità diminuisse, ma anche piccole incongruenze nelle parti e nella manodopera potevano produrre un'eccezionale Stratocaster del 1962, o una Stratocaster media del 1962.

Altri anni eccellenti per la Stratocaster pre-CBS

Agli storici piace chiamare il 1954-1965 qualcosa come la "Prima Grande Era Fender".  Il 5 gennaio 1965, Leo vendette la sua azienda alla Columbia Broadcasting System e iniziò la cosiddetta "Era CBS" (1965-1985). Naturalmente, la Stratocaster non cambiò da un giorno all'altro con la proprietà della CBS, poiché qualsiasi cosa Fender stesse facendo nel 1965 impiegò un po' di tempo per esaurirsi a causa delle rimanenti scorte di parti e dei processi di fabbrica, nonché del fatto che la nuova gestione doveva ancora imporsi in modo significativo sui progetti per il futuro.



Mentre quasi tutte le Stratocaster dell'anno solare prodotte durante l'era pre-CBS sono considerate "da collezione", se cerchiamo altre opzioni degne di nota oltre al già citato modello del 1962, ci sono due validi contendenti:

• 1954. Non è una sorpresa. Era il primo anno di produzione e ha gettato le basi, inchiodando la maggior parte delle caratteristiche essenziali della Stratocaster, anche tenendo conto dei perfezionamenti a venire.

• 1957. Il modello del '57 è quello in cui il manico è diventato davvero comodo con la sua forte forma a V. E mentre le forme del manico hanno continuato a essere perfezionate per una maggiore suonabilità negli anni successivi, non guasta il fatto che l'illustre Stratocaster "Blackie" di Eric Clapton avesse un manico del 1957.

Le attuali collezioni Fender, come i modelli Vintera II "Best of the Decades" e American Vintage II (che si concentra su anni specifici), possono portare estremamente vicino alla sensazione e al suono delle Stratocaster vintage, e a prezzi "non vintage". Ma se si vuole davvero provare un autentico strumento vintage, con tutta la storia, le canzoni, i suoni e le storie di strada all'interno, occorre scoprire una Stratocaster old-soul.

Tuttavia, non c'è bisogno di setacciare case d'asta, negozi vintage eleganti e vendite immobiliari (sperando che una Stratocaster del 1954 in ciliegia sia raggruppata con una scorta di figurine Hummel da collezione) per trovare una chitarra pre-CBS o successiva che ti parli. Se ne trovano…

Leo Fender ha scatenato una serie di "successi" mastodontici che hanno cambiato il mondo della chitarra. Dalla nascita della Telecaster nel 1951, passando per vari amplificatori e bassi Fender che divennero gli standard della loro categoria, fino alla Stratocaster, Leo sembrava avere una sorta di folle potere profetico, quello di vedere nel futuro della musica elettrica, e non sapeva suonare una canzone o accordare una chitarra.

Ma poteva sicuramente guardare oltre.

"Nel 1952, ho potuto vedere che la musica stava cambiando", ha detto Fender alla giornalista Joelle Steele nel 1977. "C'era una crescente richiesta di un volume maggiore e di un collo più veloce".

Da quella lungimiranza, è nata la macchina che ha ispirato musicisti di tutti gli stili, dal blues al metal, dal punk rock al rock classico, dal funk al jazz e oltre. E non dimentichiamo mai che il chitarrista che alla fine degli anni '60 ha rotto le barriere artistiche e ha cambiato la chitarra rock per tutti – uno stregone sonoro di nome Jimi Hendrix – ha scelto la Stratocaster per dare voce alla musica nella sua testa.


 Ma lungi dall'essere una reliquia degli anni '60, la Stratocaster in continua evoluzione ha fatto la scena durante l'halftime show del Super Bowl l'11 febbraio 2024, quando H.E.R. ha sfoggiato il suo caratteristico modello rosso e cromato. La Stratocaster è una chitarra per i secoli, perché non invecchia.

Mentre altri membri del team Fender hanno certamente contribuito allo sviluppo della Stratocaster e meritano un riconoscimento per tutto ciò che è diventata, possiamo ringraziare Leo Fender su tutti gli altri per la sua visione senza tempo. Infatti, quando l'editore emerito di Guitar Player, Tom Wheeler, stava compilando il suo libro The Stratocaster Chronicles, chiese direttamente al progettista/ingegnere Fender Freddie Tavares se la Stratocaster fosse "essenzialmente" un progetto Leo Fender.

"Senza esitazione", rispose Tavares senza un secondo di pausa, "tutte le chitarre erano essenzialmente un progetto di Leo".






lunedì 15 aprile 2024

Quel giorno funesto in cui Frank Zappa arrivò nella "sua" Sicilia!


È di questi giorni la scoperta di un avvenimento musicale che mi ero perso.

Ho una giustificazione, stiamo parlando di metà luglio 1982, e dopo un mese mi sarei sposato, quindi, avevo altro per la testa!

Resta il fatto che le intemperanze e gli scontri nel corso dei concerti erano azioni tipiche della metà anni ’70, ed è strana la mia totale estraneità rispetto all’evento. Ma facciamo un passo alla volta per ricostruire qualcosa di storico, la cui portata “sentimentale” accompagnava di pari passo gli aspetti musicali.

La mia ricostruzione parte da un documentario approdato su Netflix a fine 2022, realizzato da Salvo Cuccia, sui cui sono “inciampato” casualmente in questi giorni.

Il focus è la ricostruzione dei momenti trascorsi in Sicilia da Frank Zappa nell’estate del 1982.


Summer ’82: When Zappa came to Sicily”, è questo il titolo, riesce innanzitutto a divertire e sorprendere, nel farci scoprire le origini siciliane del geniale musicista - il cui padre aveva lasciato la desolazione di Partinico per emigrare negli USA - e nel farci rivivere la visita di Zappa nel paese in provincia di Palermo, nelle ore precedenti il concerto di chiusura del tour mondiale del 1982 allo stadio di Palermo. Ma cosa accadde quel giorno?

  

Frank Zappa a Palermo: storia del concerto finito a "schifiu"

Sintesi articolo di Alessandro Bisconti  (https://www.palermotoday.it/blog/amarcord1983/frank-zappa-palermo-concerto-14-luglio-1982.html)

 

Il 14 luglio 1982 Frank Zappa conclude il suo tour europeo alla Favorita, stadio di Palermo. L’esibizione durerà solo 40 minuti, caratterizzati da spari, lacrimogeni e manganellate.

Una notte fallimentare, e dire che quel concerto era atteso da una vita!

Sono passati tre giorni dalla conquista del mondiale in Spagna, un momento felice, anche se da quelle parti, soprattutto in Sicilia, le bombe non mancano.

La festa, dopo l’inusuale successo calcistico, prosegue ora a Palermo, un grande evento stà per andare in scena.

14 luglio 1982, tutto esaurito, e non potrebbe essere altrimenti, per il Genio di Baltimora.

Il cantautore statunitense sbarca a Punta Raisi il giorno prima. La notte fa un giro a Partinico, a caccia delle origini, senza grande successo, poi rientra a Palermo, per rilassarsi in vista del concerto dell'indomani. Non immagina ciò che lo sta aspettando!

È un 14 luglio che profuma di rivoluzione. Giornata calda, il sole spadroneggia già dal mattino, e memorabile. Palermo si divide in due. C'è chi si incammina verso il centro per celebrare la Santuzza, chi invece è in ansia per l'arrivo di Frank Zappa e inizia il pellegrinaggio verso viale del Fante. La scelta del giorno sinceramente è discutibile. C'è il Festino, un fiume umano invade le strade, mentre a pochi chilometri di distanza esplode l'adrenalina per l'ultima tappa europea di Zappa. Energia e passione: ad attendere l'idolo americano c'è una Palermo straripante di entusiasmo. È un mercoledì sera, da leoni. Il biglietto costa ottomila lire. Dopo Danimarca, Svezia, Germania e Inghilterra, Zappa sta chiudendo il tour nel Vecchio Continente (quello che poi darà vita all'album "The man of Utopia") con un concerto a Palermo, alla ricerca delle radici (il padre era di Partinico). "Avevo aspettato tutta la vita quel concerto e invece…

Perché questa è la storia di un concerto maledetto, in una notte di mezza estate. E che estate, per Palermo. Cominciata con la strage della circonvallazione - a metà giugno - e chiusa con l'omicidio di Dalla Chiesa, il 3 settembre. Si spara e si piange, la mafia fa quello che vuole, la città si guadagna paragoni poco invidiabili. Palermo come Beirut, Palermo capitale della malavita. Eppure, il treno del riscatto passa all'improvviso, a velocità supersonica. E atterra sul prato spelacchiato della Favorita.

Quando alle 21 inizia il concerto, la folla saluta con un boato: sotto i baffi di Frank Zappa c'è una città che si sente finalmente "normale", proiettata in una dimensione speciale, quella del grande rock. Ma siccome questa è la storia di un concerto da incubo, quella che si materializza è una notte fallimentare. Iniziata in modo promettente, con il check sound apripista, con tanto di band che improvvisa quattro calci al pallone sul prato. Ma è un fuoco di paglia.

È tutto sbagliato: la scelta della data e quella "logistica". Il palco è sistemato sotto alla tribuna, all'altezza del centrocampo. La capienza è di 25 mila, quella massima consentita. La gente affolla la Curva Nord e la gradinata, all'ombra di Monte Pellegrino. Ci sono almeno 50 metri tra palco e pubblico. La resa visiva e acustica è disastrosa. I musicisti - c'è anche un giovanissimo Steve Vai - sono dei puntini lontani e la musica arriva quasi "difettosa". Non un granché per un concerto di questa portata. Anzi, sembra un incubo. "Così improvvisamente tre ragazzini decidono di scendere ed avvicinarsi al palco, e rompono un cancelletto. Di lì a poco tanti altri si mettono in scia e invadono il prato. A quel punto si crea il caos. Le forze dell'ordine intervengono pesantemente lanciando lacrimogeni ad altezza uomo. Si scatena il panico totale".

La scelta di sistemare il palco lontano dal pubblico forse era stata fatta per tutelare il prato e non creare problemi al Palermo calcio. Decisione discutibile con il campionato in vacanza, in pieno luglio. Così mentre a pochi chilometri di distanza impazzano i fuochi e la folla celebra la Santuzza, altrove c'è una Palermo che fa a pugni con la storia. "È stato tutto assurdo - è il ricordo dei presenti -. Non c'è stato alcun assalto. Carabinieri e poliziotti non erano minimamente coordinati. È stata una reazione esagerata. Bastava mettere tre agenti davanti al cancello per impedire qualsiasi invasione".

Sul prato e sugli spalti piove una raffica di lacrimogeni. In un attimo, il pubblico cerca di tornare sui propri passi, si muove per raggiungere l’uscita. Qualcuno riesce a scavalcare e guadagnare le scale. Altri trovano le porte chiuse e la polizia ad aspettarli. Spintoni, urla, manganellate, sangue. Sono passati 30 minuti dall'inizio del concerto ed è già quasi tutto finito. Zappa canta, poi piange. Ci riprova. Allora chiama Massimo Bassoli, storico amico e biografo dell'artista "Massimo come here", urla a gran voce. La risposta è inoltrata alla folla: "State seduti per favore". "Massimo, what is happening?".  "È tutto a posto", cerca di rincuorarlo l'amico. Ma non è vero. Perché invece alla Favorita sta succedendo l'impossibile.  Zappa ripete: “Easy, easy”. È una tempesta di lacrimogeni. Un candelotto finisce sul palco e sfiora il batterista. Sotto c'è una guerra, tra spari e lanci di pietre. "Basta, andiamo via". Dopo 40 minuti, Zappa si rintana in camerino. Il concerto è finito”.


L'unica cosa che rimane da fare - pensano molti palermitani disillusi - è sfogare la rabbia fuori dallo stadio, per quella che reputano un'assurda e immotivata reazione di alcuni poliziotti. Probabilmente - è la versione popolare - molti di loro avrebbero preferito partecipare al Festino e per loro essere di servizio al concerto era insopportabile. È una notte lunga. I disordini proseguono fino a tardi. Gli spettatori sfollano, dispersi e inseguiti, tra botte e lacrimogeni. Scoppia una guerriglia tra le strade attorno allo stadio. La polizia carica, i fan rispondono. I tafferugli palermitani fanno il giro del mondo. Dopo il concerto si rincorrono le accuse. Gli organizzatori puntano il dito contro la polizia: la responsabilità è tutta loro - dicono - e alla leggerezza con cui hanno fatto ricorso ai gas lacrimogeni. La questura replica che il vero timore era che tutti gli spettatori della gradinata potessero entrare in campo.

E Zappa? Chi lo conosceva bene ha più volte sottolineato la delusione per la figuraccia in quello che doveva essere un ritorno a casa. Ma la culla palermitana lo ha respinto subito dopo 40 minuti insipidi. La star di Baltimora rimase molto scossa anche da altre cose che accaddero durante il tour italiano del 1982, fra le quali le moltissime zanzare che si ritrovò sul palco a Milano ("perché un concerto in un parco?", si domandava infuriato). A quel tour è ispirato il retro della copertina del suo disco dell'anno dopo, il 1983, “The Man From Utopia”. Nell'immagine della cover c'è Zappa che allontana le zanzare con una paletta. 

C'è tutta la sintesi della sua parentesi italiana. Insetti, spari e lacrimogeni. Zappa con quella paletta riuscirà a scacciare le zanzare. Ma non il pessimo ricordo della notte di Palermo.

Un docu che consiglio, che permette di raccogliere un tassello della vita di Zappa, tra musica e famiglia, tra personaggio pubblico e sfera privata.

A Partinico, successivamente, i legami famigliari si sono riannodati e per chi si trovasse a passare da quelle parti c’è ora una via a ricordo del grande Frank Zappa.

 






domenica 14 aprile 2024

The Rolling Stones-Crawdaddy Club, Richmond, Surrey, 14 aprile 1963



The Rolling Stones

Crawdaddy Club, Richmond, Surrey, 14 aprile 1963


“Veri fanatici di R & B, cantano e suonano come ci si aspetterebbe da un gruppo di neri americani. Invece sono ragazzi bianchi, così carichi di sfrenata energia da far urlare i fan.”
Norman Jopling, Record Mirror

Il fine settimana del 13 e 14 aprile 1963 fu decisivo per i Rolling Stones. Da un paio di mesi suonavano ogni domenica sera al Crawdaddy Club, un locale ospitato all’interno dello Station Hotel, alla periferia occidentale di Londra. In breve tempo il loro pubblico era passato da 30 a 300 spettatori ansiosi di ascoltare quei giovani concittadini così bravi a suonare rhythm & blues. Tutto era cominciato con la pubblicazione di un articolo, il primo in assoluto dedicato ai Rolling Stones, sul Richmond And Twickenham Tmes: “Il R & B guadagna seguito di settimana in settimana e in tutto il paese sta soppiantando il pop tradizionale”, aveva scritto Barry May. “Il suono corposo e intenso che si diffonde la domenica sera dal palco dell’hotel comunica a tutti i presenti un irresistibile desiderio di muoversi.” May riconosceva agli Stones anche una notevole efficacia visiva, in particolare per i “capelli spazzolati in avanti come quelli del gruppo pop dei Beatles”.


Secondo il giornalista, il Crawdaddy era una stanza buia e affollata di gente “vestita in modo buffo”. Il 14 aprile quattro giovanotti dall’aspetto doverosamente anticonvenzionale s’immersero in quel buio. Erano i Beatles, venuti a dare un’occhiata alla concorrenza. 

Ad accoglierli all’ingresso c’era Pat Andrews, la fidanzata di Brian Jones, che spiega: “Non si trattava di una visita a sorpresa.”
Il manager dei Rolling Stones, Giorgio Gomelsky, aveva preso accordi qualche ora prima nella poco lontana Twickenham, dove i Beatles erano impegnati sul set. “Brian mi chiese se potevo sistemarli in un posto da dove si vedesse qualcosa”, aggiunge Pat. “Fu uno dei momenti della mia vita in cui ebbi più paura. Ricordo di aver visto un berretto di pelle apparire davanti alla porta e di aver capito che era Ringo. Erano tutti vestiti di pelle nera: li sistemai in un punto un po' appartato.”

Dal palco il bassista Bill Wyman osservò la scena e pensò: “Merda, sono i Beatles”. In realtà non aveva motivo di preoccuparsi. “Era una vera e propria festa”, avrebbe raccontato tempo dopo George Harrison. “Il pubblico urlava e saltava sui tavoli. Era un ballo che nessuno aveva mai visto prima e che ben presto avremmo tutti imparato a chiamare “shake”. Il ritmo degli Stones era così potente da far tremare le pareti e sembrava ti attraversasse dentro la testa. Avevano un suono pazzesco”.

Mark Paytress (“Io c’ero”).


SET LIST

Ain't That Loving You Baby?

Bright Lights, Big City (Jimmy Reed cover) Close Together

Soon Forgotten

Shame Shame Shame (Jimmy Reed cover) I'm Talking About You (Chuck Berry cover) Memphis, Tennessee (Chuck Berry cover) I Just Want To Make Love To You (Muddy Waters cover) I Want You to Know

I'm Bad Like Jesse James (John Lee Hooker cover) Little Egypt (The Coasters cover) I'm All Right

Pretty Thing (Bo Diddley cover) Hey Crawdaddy

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I Rolling Stones di quegli anni..




venerdì 12 aprile 2024

"La chiara presenza"- Tony Buddenbrook (Stefano Giaccone) e Airportman in Teatro

Prosegue la collaborazione stretta tra Stefano Giaccone e gli Airportman e questa volta produce la testimonianza di uno spettacolo teatrale performato il 21 gennaio 2023 al Teatro Magda Olivero di Saluzzo.

Non solo musica quindi, ma un evento che ha visto sul palco differenti attori, i cui nomi sono indicati nell'immagine a seguire.

Il titolo che Stefano Giaccone e Giovanni Risso (Airportman) hanno scelto per denominare il CD è “Una chiara presenza”, album all’interno del quale troviamo quanto accaduto oltre un anno fa, suddiviso in due atti, e la sottolineatura “Costumi ed oggettistica forniti da…” porta a pensare che gli aspetti sonori - gli unici che ci sono concessi - siano solo una parte dei desideri propositivi e creativi degli autori, e che solo chi era presente abbia potuto vivere in toto una esperienza unica.

Sintetizzo un po’ di storia dei “titolari del progetto” utilizzando note ufficiali.

Stefano Giaccone è considerato uno dei più rilevanti musicisti della scena indipendente italiana, con una storia artistica affollata di eventi ed esperienze sia come solista sia in gruppo.  Nasce nel 1959 a Los Angeles; nel 1966 si trasferisce in Italia, a Torino; nel 1982 fonda con altri musicisti (tra cui la cantante Lalli) il progetto FRANTI e dal 1995 aggiunge alla musica una sua personale ricerca nel mondo della Voce Teatrale. Dal 1998 al 2009 vive in Galles (UK). Poi in Sardegna dove dirige il Progetto Nostos, quindi in provincia di Cuneo dove produce e rappresenta lo spettacolo “MODERN” con il gruppo Airportman. Quindi ancora Torino dove produce altri spettacoli, tra cui “Vincenzina Franti” e “Occhio folle, occhio lucido”.

Airportman nasce dalle ceneri di un gruppo che si chiamava “ratarè”, una band con una voce femminile, che realizzò in autoproduzione almeno 5 dischi, con canzoni vere e proprie. Dopo quell’esperienza, Giovanni Risso e Marco Lamberti presero coscienza che la dimensione canzone propriamente detta non riusciva più a rappresentare al meglio quello che volevano dire nei testi, e iniziarono a scrivere le liriche ed a cucire attorno una musica che li avvolgesse e li rappresentasse, senza per forza cantarli o semplicemente enunciarli. Nacque così il progetto Airportman e la formula è rimasta per lo più immutata, salvo cercare direzioni musicali nuove che comunque hanno la caratteristica di essere una sorta di colonna sonora alla parte letteraria.

Torniamo all'attualità, utilizzando e sintetizzando la preziosa didascalia inviatami da Giaccone, senza la quale sarebbe stato difficile entrare nel cuore del nuovo lavoro.

Partiamo dal fantomatico pseudonimo “Tony Buddenbrook”, dietro al quale si nasconde Giaccone, appellativo catturato dal romanzo di Thomas Mann, il cui titolo completo era “I Buddenbrook, decadenza di una famiglia”. Riprenderemo dopo il concetto.

La seconda parte dello spettacolo è dedicata a “Le stesse cose ritornano”, album di Giaccone/Buddenbrook del 1998, in cui veniva utilizzata una citazione  dal romanzo “L’uomo senza qualità”, di Robert Musil, il cui senso profondo era l’invito a non chiedersi mai il motivo delle azioni dei nostri antenati, accettando in modo totale le loro condizionanti - per noi -  scelte del momento, facendo riflettere sul fatto che, al di là della volontà di ogni singolo essere umano, i percorsi della vita possano prendere pieghe inaspettate, non cercate e alla fine, forse, insoddisfacenti.

Dalle note biografiche su scritte si riesce solo ad immaginare il girovagare dell’autore, una sorta di avventura permanente che riporta alla vicenda letteraria di Tony Buddenbrook, personaggio femminile e una delle protagoniste del romanzo di Mann, unica superstite di una famiglia borghese spazzata via dal moderno che avanzava nel Nord Europa alla fine dell’Ottocento.

Ma qual era la famiglia di Giaccone nel 1996, quando, attorno ai 40 anni, iniziò a scrivere quelle canzoni?

La logica di Musil, captata in quegli anni, è ancora un aiuto e, più che andare alla ricerca di improbabili risposte, è forse meglio accettare la logica della casualità degli eventi, realizzando idealmente e rigorosamente quali siano stati i risultati, giorno dopo giorno, anno dopo anno, sperando che quanto accaduto possa essere d’aiuto a chi, per mero elemento anagrafico, necesiti di linee guida.

Come non essere d’accordo!

La lettura delle indicazioni preventive mi ha condizionato nell’ascolto, perché il pensiero di Giaccone, appena sintetizzato, è quello di qualsiasi anima pensante giunta alla piena maturità. Sono eventi/concetti che rendono saggi chi li ha vissuti, a volte "pericolosi" per chi gira al contorno, certo è che spesso sono portatori di alcuni rimpianti, di alcuni rimorsi che spingono alla riflessione continua.

Tutto questo percorso di vita arriva all’ascoltatore - attento - di “La chiara presenza”, una rappresentazione artistica che, pensando al passato, sottolinea tutti i passaggi dell’evoluzione personale, facendo riferimento a elementi storici ma lasciando il profumo di concetti senza tempo, come l’amicizia ad esempio, quel tacito accordo che nasce tra persone sensibili e virtuose, che si materializza e si percepisce nel viaggio che Stefano Giaccone e gli Airportman ci presentano sul palco del Teatro di Saluzzo.

Non ho trovato nulla di proponibile in video/audio e quindi fornisco un sample estrapolato dall’album originale “Le stesse cose ritornano”.

Si intitola “Il sarto”.






giovedì 11 aprile 2024

Concert for Linda - Royal Albert Hall, 10 aprile 1999

 


Concert for Linda 

Il Concerto per Linda è stato un tributo benefico nel nome di Linda McCartney, moglie di Paul McCartney, e andò in scena alla Royal Albert Hall di Londra il 10 aprile 1999.

Linda McCartney morì dopo una lunga battaglia contro il cancro quasi un anno prima, quando aveva 56 anni. Linda e Paul sono stati sposati per 29 anni.

L'evento fu organizzato da due delle loro amiche, Chrissie Hynde e Carla Lane, ed i proventi furono destinati a varie associazioni di beneficenza per i diritti degli animali. Hynde e Linda avevano lavorato insieme sostenendo vari gruppi per i diritti degli animali, tra cui PETA.

Per condurre fu scelto il comico Eddie Izzard.

I biglietti per lo spettacolo, con 5.000 persone presenti, andarono esauriti entro un'ora dalla messa in vendita.


Presenze

Oltre alla performance non annunciata di Paul McCartney, lo spettacolo vide una dozzina di artisti cantare le proprie versioni del materiale dei Beatles. Tra gli ospiti c'erano George Michael, The Pretenders (Chrissie Hynde fu una delle organizzatrici), Elvis Costello, Tom Jones, Sinead O'Connor, Des'ree, Heather Small, il chitarrista Johnny Marr, Neil Finn, Marianne Faithfull e Ladysmith Black Mambazo

La Faithfull, che voleva apparire, disse nell'occasione: "Non conoscevo bene Linda, ma ha reso il mio amico molto felice, e questa è la cosa principale".

McCartney non avrebbe dovuto esibirsi, poiché non aveva più fatto spettacoli da quando sua moglie era mancata. Tuttavia, partecipò all'evento con i suoi quattro figli. 

Dopo essere salito sul palco per ringraziare il pubblico, su sollecitazione di Chrissie Hynde, cantò una delle sue canzoni preferite del 1950, "Lonesome Town" di Ricky Nelson. Nell’occasione fu supportato dai membri dei Pretenders, insieme a Costello. La canzone è stata la prima registrata da Paul dopo la morte di Linda.

Proseguì con il suo successo del 1963, "All My Loving", originariamente eseguito dai Beatles. La maggior parte degli artisti della serata si unì a lui sul palco per creare il coro. Costello disse che per questo particolare evento, "c'era qualcosa di incredibilmente toccante" nel testo di apertura della canzone.

Dopo quelle canzoni, Hynde si "precipitò" su McCartney per un abbraccio emozionato. Tutti poi si unirono per la canzone di chiusura, "Let It Be".






mercoledì 10 aprile 2024

Il 10 aprile del 1970 Paul McCartney abbandonava i Beatles


Il 10 aprile del 1970 Paul McCartney abbandonava i Beatles


Alla domanda specifica di un giornalista, focalizzata sulle motivazioni di tale decisione Paul McCartney rispondeva: “Il mio allontanamento è dovuto a divergenze personali ed economiche, ma soprattutto al fatto che sto meglio con la mia famiglia. Se tutto questo sarà temporaneo o permanente, beh, questo ancora non lo so, ma non ci sarà più motivo per collaborare con Lennon per la scrittura di nuove canzoni né di suonare dal vivo con i Beatles”.

Al contempo Paul McCartney presentava il suo primo lavoro solista (l’album "McCartney", 1970) e di fatto segnava la fine di un’epoca.


Il Daily Mirror pubblicò a caratteri cubitali 

PAUL IS QUITTING THE BEATLES


Era il 10 aprile del 1970, e terminava ufficialmente l’avventura della band più popolare ed influente di sempre.

La notizia fece in un lampo il giro del pianeta, con l’immediata consapevolezza che stava per scomparire il principale punto di riferimento musicale e culturale della Beat Generation, ed era in atto lo scemare dei favolosi anni ‘60.

I quattro baronetti proseguirono le loro importanti carriere musicali, ma per ciascuno di loro non fu mai più come prima… prima di quel 10 aprile 1970.

Un esempio sintetico dell’immediato proseguimento dei loro perocorsi: a metà aprile usciva “McCartney”, primo album solista del bassista ex Beatle. L’8 maggio “Let It Be”, un 33 giri a tutti gli effetti postumo, a settembre “A Sentimental Journey” di Ringo Starr, a novembre il triplo “All Things Must Pass” di George Harrison ed a dicembre “Plastic Ono Band” di John Lennon.

Tanti gli interrogativi legati ai motivi della separazione, e molte pagine sono state scritte a tal proposito. Non è questo l’occasione utile per un ulteriore approfondimento ma è bene sottolineare come esista una grande sperequazione tra la modesta durata dell’avventura dei Beatles - circa otto anni - e l’enorme e fondamentale contributo musicale e culturale regalato alla storia.

Preciso che i Beatles si sciolsero ufficialmente e legalmente il 31 dicembre 1970, quando McCartney intentò una causa tendente a porre tutti gli affari del gruppo nelle mani di un curatore fallimentare.

Di seguito la comunicazione data al telegiornale del 10 aprile 1070 sul Secondo Canale RAI:

 





martedì 9 aprile 2024

La bellezza di "Stay"...

 


Quando il brano “Stay” prese il volo per opera di Jackson Browne era il 1977, e la mia intransigenza musicale dell’epoca, legata all’immaturità tipica dei ventenni, non poteva certo permettermi di apprezzare una “roba del genere”, corta, melodica, sdolcinata…

Ora che sono diventato antico, e scevro da certi pregiudizi - o forse per il solo fatto che sono al corrente di quale sia “la musica che gira intorno”- mi accorgo che tanti brani del passato su cui avevo sorvolato mi appaiono oggi magnifici. Come accade in questo caso.

“Stay” nasce molto prima della proposta di Browne, e più precisamente nel 1960, quando viene portata al successo da un gruppo vocale di colore, i The Zodiac, guidato da Maurice Williams.

Mettendo a confronto i due modelli espressivi si catturano ovvie differenze, legate soprattutto ad epoche differenti, ma analizzando il testo originale - molto semplice nel suo messaggio - e mettendolo a confronto con quello riammodernato, emergono obiettivi molto differenti che vado a sottolineare.

Partiamo dalle origini che riportano a fatti del 1953, quando il già citato Williams, allora quindicenne, chiede con ogni mezzo alla sua fidanzatina del momento di non tornare a casa presto alla sera, secondo le rigidi disposizioni paterne, e quindi il testo si trasforma in una preghiera/richiesta che rimarrà disattesa. Ma nasce una potenziale canzone.

Dopo qualche anno, il giovane Maurice decide di registrare quel brano, e questa volta le cose andranno diversamente perché “Stay” raggiunge in poco tempo la vetta della American Record Charts: siamo nel 1960 e quella prima versione è ancora ad oggi la canzone più breve di tutti i tempi ad arrivare alla vetta di quella classifica.

La propongo a seguire e invito a porre attenzione su uno dei quattro membri del gruppo, il cui falsetto caratterizzante appare inadeguato alla sua corporatura possente. Come vedremo accadrà qualcosa di inaspettato anche nella proposta di J.B.

Arriviamo alla versione di Browne, cantautore americano che non ha bisogno di presentazioni. “Stay” viene utilizzata per concludere l’album live “Running On Empty“.

Il brano viene completamente riadattato e manipolato, e diventa una ballad da brividi. Ma non è una banale coverizzazione, tanto che vengono apportate variazioni significative al testo e la nuova sintesi avrà come logica conseguenza la chiusura di tutte le esibizioni dal vivo di Browne e della sua band.

La richiesta di “restare” non è più rivolta ad una donna ma al pubblico a cui viene chiesto di rimanere ancora un attimo per ascoltare un’ultima canzone.

Nella versione che presento, che è quella che preferisco, la genialità di J.B. è quella di inserire due voci oltre la sua, che di per sé è già grandiosa: la prima è quella incredibile di Rosemary Butler...

... e la seconda è frutto di un colpo di genio, il falsetto che inizialmente fa pensare ad un’ulteriore voce femminile e che invece è da attribuire a David Perry Lindley, compagno inseparabile di Jackson Browne, nonché polistrumentista illuminato.

Auguro ai lettori di provare le mie stesse emozioni ascoltando/guardando il video a seguire…

Ma torniamo per un attimo al punto di partenza, giacché non esistono molte notizie in italiano di Williams e del suo gruppo.

Maurice Williams nasce il 26 aprile 1938 a Lancaster, nel South Carolina, luogo testimone del proliferare del rhythm and blues alla fine degli anni Cinquanta.

Da subito inizia a cantare nel coro della sua chiesa e, una volta diventato studente alla Barr High School, forma una band con tre suoi compagni di scuola (Charles Thomas, Willie Bennet e Henry Gasten). Dopo essersi dati il nome di Charms i quattro si trasferiscono a Nashville dove cambiano nome, prima in Gladiolas e poi in Excellos. Proprio a Nashville pubblicano i loro primi dischi. Nel 1957 Williams ottiene un’inattesa popolarità come autore grazie al successo della sua canzone “Little darlin’”, che scala le classifiche nella versione dei Diamonds.

Sull’onda dell’improvvisa notorietà Maurice e la sua band nel 1959 cambiano ancora nome diventando Maurice Williams & The Zodiacs. Nel 1960 arrivano al primo posto della classifica statunitense dei dischi più venduti con “Stay. Il successo della canzone resta però un evento isolato per una band che non riesce a ripetersi con i brani successivi.

Tensioni interne e avvicendamenti, uniti allo scarso successo, finiscono per chiudere la storia della band. La sigla non muore ma viene utilizzata da Maurice Williams anche negli anni successivi in esperienze sostanzialmente solistiche.

Ma “Stay”… rimarrà per sempre!

Per completezza di informazione il brano “Stay” fu proposto nel 1964 dai The Hollies nell’album “Stay with The Hollies” del 1964...


... e noi in Italia abbiamo avuto l’immancabile cover, as usual per l’epoca, dell’Equipe 84, con il “tocco sapiente” di Mogol, e prese il titolo di “Resta”.

Doveva essere il lato A del primo disco con la nuova casa discografica alla quale il gruppo di Maurizio Vandelli era finalmente approdato, la Ricordi, prima etichetta italiana dell'epoca ma diventò il lato B della più conosciuta “Ho in mente te”.

La versione di J.B. è in ogni caso l’unica con il testo concettualmente modificato e dedicato ai concerti e non a una figura femminile.